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Legge Pinto-Irragionevole durata del processo-indennizzo
Queste sono le parole che lo scorso 4 settembre la Ministra Cartabia ha usato durante la 47° edizione del Forum Ambrosetti, tenutosi a Cernobbio per descrivere i tempi del processo italiano.
Il quadro è eloquente ed un sistema giustizia che arranca senza stare al passo con un mondo sempre più ad alta velocità non è il miglior biglietto da visita che il nostro paese possa offrire a potenziali investitori esteri. Perlomeno sui lunghi tempi del processo italiano, la Dea bendata dovrà prima o poi aprire gli occhi.
D’altronde, chiunque abbia a che fare con la macchina della giustizia in Italia può facilmente toccare con proprie mani le lungaggini che la affliggono. Falle procedurali, disorganizzazioni amministrative, carenza di personale, sono tutti elementi che concorrono ai ritardi nel giungere a sentenza.
Da anni si varano riforme volte all’abbattimento dei tempi ma di risultati concreti non vi è traccia. Al contrario, l’irragionevole durata del processo è oggi stadio patologico di un sistema sempre più farraginoso ed ancorato a precetti del passato.
Sul punto, tutti gli operatori del diritto, che siano magistrati o avvocati o ausiliari, concordano: un giusto processo, nel senso del termine dell’art. 111 Costituzione, non può prescindere da istanze di celerità e tempi adeguati. Sempre secondo la nostra carta fondamentale “la legge ne assicura la ragionevole durata”. O dovrebbe, perlomeno.
Eppure, i dati ci dicono il contrario. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte espresso preoccupazioni circa gli interminabili tempi che i giudici italiani impiegano nel chiudere un procedimento.
E a Strasburgo, dagli appelli alle autorità competenti, sono poi passati ai fatti: 1.202 condanne allo Stato italiano dal 1959 ad oggi per violazione dell’art. 6 della CEDU. Più di ogni altro dei 47 paesi su cui si estende la giurisdizione della corte in seno al Consiglio d’Europa. Per meglio comprendere la portata di questo triste primato, basta pensare che al secondo posto tra i paesi di più “lenta giustizia” figura la Turchia con 608 condanne, al terzo la Francia con 284, e soltanto a seguire la Germania (102), la Gran Bretagna (30) e la Spagna (solamente 16).
Per rispondere a tale violazione di diritti, nel 2001 il Parlamento ha approvato la c.d. “Legge Pinto” (l. n. 89/2001), che ha introdotto un procedimento che consente a tutti coloro che abbiano preso parte, indipendentemente dalla posizione assunta in giudizio, a processi conclusisi in tempi “oltre la ragionevole durata”, di richiedere allo Stato un indennizzo per il danno subito. Più che uno strumento per risolvere alla radice il problema, una legge per alleviare le pene dei malcapitati a processo, con costi interamente alle spalle dei contribuenti.
Sia chiaro, un risarcimento giusto e dovuto. Ma che, senza una riforma organica del sistema giustizia in campo penale, civile ed amministrativo, si è risolto in una voce di bilancio in più per le casse dello Stato. La Legge Pinto, in un sistema giustizia celere e puntuale, sarebbe strumento di civiltà a presidio di coloro che, in casi limite ed eccezionali, subiscano processi troppo lunghi. In Italia, dove il ritardo nel giungere a sentenza è prassi consolidata di tribunali e corti d’appello, è invece specchietto di impietose statistiche.
Ritardi e cancellazione voli come chiedere un rimborso-indennizzo-risarcimento-volo annullato
Ma cosa possono fare i passeggeri per il rimborso nel caso di volo cancellato o in forte ritardo?
Se la compagnia aerea ha base nell’Unione europea si applica il Regolamento Ue 261 e in caso di volo annullato deve essere riprotetto su un altro volo, anche di altra compagnia. Il passeggero può anche chiedere il risarcimento oltre che il rimborso nel caso in cui la cancellazione avviene meno di due settimane prima dalla partenza. Se la compagnia è extra Ue, invece, bisogna vedere cosa prevede la norma del paese di cui fa parte. Di solito, il Regolamento viene applicato ai voli all’interno dell’Unione europea gestiti da un vettore comunitario o extracomunitario, ma anche ai voli che partono dalla Ue con destinazioni fuori dell’Unione.
Nella pratica, il passeggero può chiedere in caso di volo annullato il rimborso, un volo alternativo o un volo di ritorno. In alcuni casi anche l’assistenza in aeroporto. Se invece il volo viene cancellato meno di 14 giorni prima della partenza il passeggero può chiedere anche il risarcimento, che varia da 250 euro a testa per voli fino a 1500 chilometri e 400 euro per i voli oltre 1500 chilometri dentro la Ue e 600 fuori dalla Ue oltre 3.500.
Volo alternativo
Non sempre però si ha diritto al risarcimento. Questo non avviene se la compagnia informa della cancellazione prima dei 14 giorni dalla partenza o se informa tra due settimane e sette giorni prima e garantisce un altro volo alternativo con cui partire non oltre 2 ore prima dell’orario previsto. Il risarcimento non è dovuto se la cancellazione viene segnalata 7 giorni prima o meno e il vettore offre un volo alternativo che permetterebbe di partire non oltre 1 ora prima dell’orario previsto all’inizio. La compagnia deve anche proporre un volo che permette di raggiungere la meta con un ritardo non oltre 4 ore, in questo caso si può avere un risarcimento del 50%.
Il risarcimento spetta anche se il volo ha un ritardo di oltre 3 ore a meno di condizioni definite eccezionali come maltempo, sciopero o blocco informatico. Nel caso in cui il passeggero rimanga bloccato in aeroporto, la compagnia deve garantire acqua, cibo e un alloggio. Se non lo fa, il passeggero che deve pagare tutto può chiedere il rimborso di quanto speso.
Per chiedere rimborsi o risarcimenti, bisogna presentare un reclamo alla compagnia , contatta SOS Rimborsi per ottenere un rimborso.
Creditori nei fallimenti-lavoratori-credito fallimentare-tribunale-piano di riparto
Vengono esaminati gli effetti del fallimento sui creditori, così come disciplinati negli artt. 51-63 del testo attuale della Legge fallimentare, anche alla luce delle più recenti decisioni giurisprudenziali. La trattazione tiene conto di tutte le recenti modifiche alla legge fallimentare, che hanno inciso profondamente nella materia degli effetti del fallimento.
Premessa
Gli effetti di diritto sostanziale della dichiarazione di fallimento sono disciplinati nel Capo III del Titolo II della Legge fallimentare. Il suddetto capo è diviso in 4 sezioni, dedicate rispettivamente agli effetti del fallimento nei confronti del fallito (artt. 42-49), nei confronti dei creditori (artt. 51-63), sugli atti pregiudizievoli ai creditori (artt. 64-71) e sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 72-83 bis). La ratio comune ai suddetti effetti, ricollegabili alla natura costitutiva della sentenza dichiarativa di fallimento, va rinvenuta nella necessità di assicurare la conservazione e l’incremento della massa attiva da un canto, e la cristallizzazione della massa passiva dall’altro. Singole regole sono peraltro finalizzate ad ulteriori scopi, come quello di consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa, ove disposta, o a rendere più agevole lo svolgimento della procedura.
Effetti del fallimento per i creditori-una visione d’insieme-curatore-creditore ammesso
Gli artt. 51-63 della Legge fallimentare dettano alcuni principi fondamentali in materia di trattamento dei creditori nel fallimento, non esaurendo peraltro tale disciplina, che permea l’intera procedura fallimentare. Le regole contenute nei suddetti articoli possono così raggrupparsi: a) regole tendenti a proteggere il patrimonio fallimentare dalle iniziative dei singoli creditori, al fine della realizzazione della par condicio creditorum (artt. 51 e 52 l. fall.); b) regole tendenti a disciplinare il trattamento delle varie categorie di creditori (artt. 53 e 54 l. fall.); c) regole tendenti a quantificare il credito da ammettere al passivo fallimentare (artt. 55, 56, 57, 58, 59 e 60 L. fall.); d) regole tendenti a disciplinare la posizione di creditori o terzi che si trovano in particolari situazioni di solidarietà (artt. 61, 62 e 63 l. fall.). In linea generale può osservarsi che le suddette norme appaiono poco omogenee, oltre che spesso imprecise, e vanno lette alla luce ed in coordinamento con altre norme sparse nella Legge fallimentare e nel Codice civile.
Effetti del fallimento per i creditori-il concorso ed il divieto di azioni esecutive individuali-creditori fallimento-
I creditori devono pertanto far accertare il loro credito secondo le regole dell’accertamento del passivo fallimentare, contenute nel Capo V della Legge fallimentare, ed attendere per la loro soddisfazione lo svolgimento della procedura fallimentare ed i riparti. Alla procedura dell’accertamento del passivo sono sottoposti tutti i creditori, sia chirografari che privilegiati, e persino i creditori in prededuzione, per i quali comunque l’art. 111 bis l. fall. prevede la liquidazione fuori concorso se non contestati (è questa una delle eccezioni cui si riferisce il co. 2 dell’art. 52 l. fall.). Devono sottoporsi alla verifica del passivo anche, ed è questa una importante precisazione introdotta dalla riforma nel terzo comma dell’art. 52 l. fall., raccogliendo quella che era in precedenza una tesi diffusa in dottrina e giurisprudenza, i creditori che non sono sottoposti al divieto di azioni esecutive individuali, in particolare i creditori fondiari ed assimilati, di cui si dirà (sui rapporti tra esecuzione individuale e fallimentare, Cass., 4.9.2009, n. 19217, in Dir. fall., II, 286, con nota di Penta, A., I rapporti tra esecuzione concorsuale ed esecuzione individuale. Il credito fondiario). Solo con l’ammissione al passivo i creditori concorsuali diverranno ‘concorrenti’, quindi con diritto a concorrere alle ripartizioni dell’attivo.
Una precisazione di particolare rilievo introdotta dal legislatore della riforma del 2006 è quella secondo la quale sono inibite anche le azioni cautelari, oltre che quelle esecutive. Ciò ha risolto in senso negativo il quesito, prima molto dibattuto, della ammissibilità di azioni cautelari in corso di fallimento. Mentre, infatti, in precedenza si riteneva il sequestro conservativo incompatibile con le finalità del fallimento, si ritenevano invece da una parte della dottrina e della giurisprudenza ammissibili il sequestro giudiziario, i provvedimenti di urgenza ex art 700 c.p.c., nonché la denunzia di nuova opera e danno temuto.
Dissesto degli enti locali-corte europea diritti uomo-organismo liquidazione-istanza ammissione-comune
La normativa sul dissesto degli enti locali prevedeva un intervento eccezionale dello Stato, nel caso in cui gli enti non potessero far fronte ai debiti con l’autofinanziamento, ma chiedeva all’ente locale di contribuire al risanamento attraverso l’adozione di provvedimenti del pari eccezionali. Lo Stato infatti consentiva all’ente dissestato di contrarre con la Cassa depositi e prestiti un mutuo per il finanziamento dell’indebitamento pregresso il cui onere era a totale carico dello Stato stesso. A tal fine era previsto l’utilizzo delle quote spettanti all’ente del fondo per lo sviluppo degli investimenti.
1.2 – Ipotesi di bilancio
1.2.1 – Introduzione
Dopo l’esperienza derivante dall’applicazione della normativa disciplinata dall’articolo 25 del decreto legge n. 66 del 1989, sono state riscontrate notevoli difficoltà nella gestione del risanamento presente e passato da parte dello stesso soggetto agente ovvero l’ente. Ciò in quanto la gestione del pregresso inevitabilmente andava a influire negativamente sulla gestione ordinaria.
Vittime della malasanità-ospedali-asl-pronto soccorso-responsabilità medica-colpa-risarcimento danni-rimborso
Cosa fare in caso di malasanità-denunciare-querela-studio legale
La vittima di un caso di malasanità ha il diritto di denunciare l’accaduto. Può decidere anche di procedere con una querela. Le autorità competenti, quindi, daranno inizio alle indagini investigative per accertare i fatti e consentire o meno il risarcimento danni.
Come denunciare un caso di malasanità
A chi rivolgersi in caso di malasanitàCome si calcola un risarcimento per malasanità
Il rimborso è calcolato in base ad alcuni parametri, fra cui l’età del paziente e l’entità del danno subito dalla vittima di malasanità. Si prende in considerazione, quindi, il tipo di invalidità procurata al danneggiato: temporanea o permanente. Altro criterio importante riguarda l’eventuale morte del paziente.
